"Siamo legati ai film come ai nostri migliori sogni". Leo Longanesi

martedì 27 marzo 2012

PARADISO AMARO ( A. Payne, 2012)


Lo ammetto: non conosco i film di Alexander Payne (Election, Sideways e A proposito di Schmidt). Ma dopo aver visto questo gioiello, li recupererò tutti!
Hawaii. Un paradiso per chiunque lo nomini. Un altro spazio dove fuggire dalla propria realtà. Dove vivere senza alcuna responsabilità, sempre in calzoncini corti e infradito, lasciandosi coccolare dalle onde, dal sole e dal vento. Un sogno. Ma come tutti i sogni, non sempre trovano corrispondenza nella realtà. Perché la realtà vera, quella dura, esiste anche alle Hawaii. Lo sa bene Matt King. Discendente di una ricca famiglia proprietaria di terreni alle Hawaii, Matt è dedito al suo lavoro di avvocato, nonostante la cospicua eredità che divide con alcuni cugini. In prossimità della vendita dell'ultimo pezzo di terra in suo possesso, la moglie Elizabeth ha un incidente con il motoscafo che la riduce in coma irreversibile. Non abituato al ruolo di padre, Matt si trova in difficoltà con le figlie Alexandra e Scottie, da lui trascurate per troppo tempo. A causa del dolore per la moglie, le sue certezze crollano ed egli tenta disperatamente di ritrovare un equilibrio. A cinquant'anni è costretto a crescere, ad affrontare le proprie responsabilità. E se tutto questo non fosse già abbastanza duro, la primogenita Alexandra gli rivela che la madre lo tradiva con un altro uomo. La ricerca dell'identità di costui permetterà a Matt di trovare un nuovo equilibrio e il legame con le figlie ne uscirà rafforzato.
Tratto dal romanzo della scrittrice Kaui Hart Hemmings, Eredi di un mondo sbagliato (da cui il titolo originale del film The Discendants), Paradiso Amaro è un'opera che entra nel cuore e con il quale il pubblico può identificarsi a più livelli. Come non riconoscersi nelle difficoltà, nel disagio e nella “goffaggine” di Matt. Il modo in cui il regista premio Oscar tratta la tragedia vissuta da un uomo “medio” impreparato ad affrontare la realtà, è davvero sublime. Ci si commuove, ma anche si ride per quegli episodi grotteschi che a tutti possono capitare nei momenti più tragici. Payne sa restituire al meglio le varie fasi del dolore vissute da una famiglia prossima alla perdita di una persona cara. La disperazione che diventa indifferenza; la rabbia che si trasforma in rassegnazione. Il tutto velato da una leggera ( ma anche cinica) ironia, “marchio di fabbrica” di questo cinquantenne regista venuto dal Nebraska.
Impeccabile l'interpretazione di George Clooney nei panni di Matt. Il viso stropicciato, i capelli arruffati e quella buffa corsa in ciabatte valgono da soli il prezzo del biglietto. Lasciati i panni dello sciupa-femmine, Clooney sa essere credibile in quelli di un padre messo a dura prova dalle figlie e con scarso sex-appeal. Un Oscar forse se lo sarebbe meritato.
Giustamente assegnato invece il premio per la miglior sceneggiatura non originale ( già conquistato da Payne nel 2005 per Sideways-In viaggio con Jack). Quando la storia e i dialoghi sono forti, il film non può passare inosservato.




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