"Siamo legati ai film come ai nostri migliori sogni". Leo Longanesi

venerdì 4 novembre 2011

LE AVVENTURE DI TINTIN. IL SEGRETO DELL'UNICORNO (di S. Spielberg, 2011)



Fan di Indiana Jones, unitevi! Se sentivate la mancanza di cappello, frusta e tesori nascosti, ora avete un'alternativa. Invece dell'inconfondibile “sagoma”, un simpatico ciuffetto rosso: quello del giovane reporter Tintin. Nato dalla matita del fumettista belga Hergé (alias Georges Prosper Remi), Tintin inizia le sue avventure nel 1929, diventando una delle strisce di maggior successo in Europa. Sconosciuto infatti nel “nuovo mondo”, il regista Steven Spielberg apprese della sua esistenza solo nel 1981, quando una giornalista franco-belga paragonò il protagonista de “I Predatori dell'arca perduta” proprio a Tintin. Da allora il giovane avventuriero e il suo inseparabile cagnolino Milou, rimasero tra i progetti chiusi nel cassetto del regista. Fino ad oggi, quando l'incontro con un altro guru del cinema, Peter Jackson (che da bambino leggeva Tintin) ha permesso di realizzare la magia. La straordinaria tecnica chiamata “motion (o performance) capture” ha dato finalmente vita ad un progetto fermo da trent'anni. E chi meglio del regista de “Il Signore degli Anelli” (tra i primi ad utilizzare il nuovo mezzo, ormai indispensabile nella creazione dei videogiochi) poteva introdurre Spielberg nel mondo della “mocap”. Affidata nuovamente alla WETA Digital (compagnia neozelandese specializzata negli effetti speciali,) la tecnica, è stata utilizzata con l'obbiettivo di rendere i personaggi digitali il più possibile realistici soprattutto nelle espressioni. Ci si è concentrati in particolare sulla resa degli occhi dei protagonisti (Jamie Bell, Andy Serkis e Daniel Craig, gli attori “catturati”) portando addirittura sullo schermo una vera simulazione dell'occhio umano. Davvero riduttivo chiamarlo “cartone animato”. L'apporto che la motion capture sta dando al cinema d'animazione è davvero straordinario. Gli attori stanno apprendendo un nuovo modo di recitare, più simile forse a quello del cinema muto ma che comunque permette di apprezzarne le doti attoriali (si parlò addirittura di candidatura all'Oscar per il Gollum di Andy Serkis). Insomma, una tecnica davvero rivoluzionaria e un regista come Spielberg non poteva certo ignorarla.
Un altro strumento che non ha lasciato indifferente il buon Steven è la visione in 3D. Utilizzato soprattutto in film ricchi di effetti speciali, il 3D ha forse un valore aggiunto nel cinema d'animazione dove si è più liberi di sfruttarlo a pieno. A mio modesto parare però, anche in questo lavoro la visione con i tipici occhiali (dalle lenti oscurate che non permettono di apprezzare il colore dell'immagine; davvero un peccato!) non ha aggiunto niente alla qualità della pellicola. Ad eccezione forse dei titoli di testa dove l'animazione bidimensionale, già sperimentata nell'introduzione di “Prova a prendermi” (sempre di Spielberg) ne è risultata perfezionata, grazie all'effetto profondità.
L'auto-citazione non si ferma però alla sequenza introduttiva. Impossibile non pensare al mitico Indy nel vedere inseguimenti con motocicletta e sidecar, incidenti con grossi idrovolanti e villaggi orientali. Per non parlare del umorismo, del ritmo narrativo e della colonna sonora firmata John Williams, autore spesso al servizio di Spielberg e in particolare ideatore del famosissimo motivo che accompagna le gesta del Professor Jones. Da segnalare anche la scena in cui il ciuffo rosso di Tintin esce dall'acqua come la terrificante pinna dorsale de “Lo squalo”.
Ancora una volta il cinema di Spielbeg si rivela trasversale: divertimento per tutte le fasce d'età grazie alla perfetta unione tra i moderni effetti speciali e la classica storia d'avventura.
Ma l'esperimento Tintin non finisce qui. Per il prossimo capitolo (si parla già di trilogia) le parti si invertiranno: Jackson alla regia e Spielberg nel ruolo di produttore. Si divideranno invece la sedia di “director” per il terzo episodio. Il fenomeno della saga non è ancora passato di moda.
Chissà se i cultori del fumetto originale gradiranno il loro eroe in CGI. Chi ama Tintin infatti ha imparato ad apprezzare la “linea chiara”, stile grafico caratterizzato da una rigorosa pulizia del tratto, che ebbe proprio la sua maggiore espressione con le strisce di Hergé. Un personaggio nato quindi in due dimensioni e dal profilo ben definito.
Una cosa però è certa. Nel 1983, poco prima della sua scomparsa, il “papà” di Tintin disse: “ Se c'è qualcuno che può portare sullo schermo la mia creatura, questo è proprio Big Steven”.
Che ci piaccia o no, il Re Mida di Hollywood ha avuto di nuovo ragione.

Guarda il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=1QuviWRA0z8

mercoledì 2 novembre 2011

L' ALBA DEL PIANETA DELLE SCIMMIE (di R. Waytt, 2011)


Negli anni '70 Oliver divenne una star internazionale. La sua foto era su tutti i giornali dell'epoca. Ma Oliver non era un divo del cinema o una rockstar, ma uno scimpanzé o più precisamente un esemplare (unico) di scimpanz-uomo. La scimmia infatti presentava caratteristiche più simili all'uomo che a quelle dei suoi fratelli primati, tanto che fu ritenuto da molti il famoso “anello mancante”. Per anni Oliver visse con una coppia di coniugi americani rivelando sorprendenti atteggiamenti umani, come camminare eretto, spingere una carriola od oziare sul divano.
Pare che l'attore Andy Serkis (interprete, sotto mentite spoglie, del Gollum e di King Kong targati Peter Jackson) si sia ispirato proprio ad Oliver per portare sullo schermo lo scimpanzé Cesare, protagonista de “L'alba del pianeta delle scimmie”.
Diretto da Rupert Waytt, il film si propone di rilanciare un filone iniziato nel 1968 e continuato negli anni '70. “Il pianeta delle Scimmie” film cult con Charlton Heston e tratto dal romanzo di Piere Boulle, diede il via ad una serie di sequel tra i più numerosi della storia del cinema, terminata con il poco pregevole film di Tim Burton del 2001.
In un mondo (il nostro) dove gli animali sono ancora utilizzati come cavie, uno scienziato (interpretato da James Franco) tenta di scoprire una cura per l'Alzheimer. Testato sugli scimpanzé, uno dei sieri sembra essere la giusta cura. Ma l'effetto che avrà sui primati, sarà del tutto inaspettato. Le scimmie dimostreranno infatti intelligenza e capacità cognitive eccezionali. E una di loro, Cesare, consapevole delle sue capacità, guiderà la rivolta dei suoi simili contro chi li ha privati della libertà. Questo quindi ciò che darà il via alla nostra estinzione e alla conquista della Terra da parte delle scimmie.
Ormai, sempre più spesso, il cinema di fantascienza ci mostra come la ricerca scientifica e l'obbiettivo di sconfiggere le più terribili malattie dei nostri tempi ci porterà presto o tardi alla rovina. Negli anni '60 il nucleare era il nemico numero uno; ora è la ricerca contro il cancro. “L'alba del Pianeta delle Scimmie” riprende quindi un filone molto caro agli amanti della fantascienza, attualizzandolo nei contenuti e avvalendosi delle tecniche più avanzate.
Ciò che rende infatti interessante questo film non è l'ambientazione o la trama (piuttosto prevedibile), ma l'uso (sempre più diffuso) della “motion capture” ( o “mocap”). Per chi non la conoscesse si tratta di un tecnica (utilizzata anche in altri ambiti, come quello medico) che permette di “catturare” letteralmente movimenti ed espressioni di un attore. Elaborati al computer poi, questi dati daranno vita ad un personaggio “animato” dai movimenti perfettamente realistici. La tecnica si avvale di tute speciali e microtelecamere indossate dall'attore per tutto il tempo della recitazione. La cosa non è alquanto facile a tal punto che il già citato Andy Serkis, specialista ormai in questo campo, ha aperto una scuola per insegnarne i trucchi ai nuovi “attori-animatori” degli anni 2000. Inaugurata con il Gollum della saga de “Il Signore degli Anelli”, la tecnica ha raggiunto livelli notevoli con “Avatar” di James Cameron. Nel nostro film la motion capture ha permesso di dare a Cesare quelle espressioni e quello sguardo di consapevolezza che gli permetterà di dominare il nostro mondo. Le parti più toccanti infatti del film ci sono regalati da questa scimmia, “figlia” del computer ma con gli “occhi vivi”, umani (e verdi) di Andy Serkis.



A parere di chi scrive però, nessuna tecnica può eguagliare la scena finale del film con Charlton Heston. Un pianeta sconosciuto. Una spiaggia. Un uomo, disperato, si scaglia contro la sua stessa razza. Di fronte a lui, ciò che resta di una statua (della Libertà!), simbolo di una civiltà perduta. Il colpo alla stomaco è incomparabile. Riscopritelo!