Rapporto
burrascoso quello tra la Disney e Tim Burton.
Un rapporto
senz’altro di rispetto ma mai di completa comprensione. Un rapporto iniziato
nel 1979 quando un giovanotto di Burbank appassionato di disegno (e formatosi
alla Cal Arts) viene assunto nella fabbrica dei sogni della Disney, allora un
faro per chiunque volesse lavorare nell’animazione. Il nostro giovane però si
trova ben presto in un mondo che gli va stretto. Burton infatti prova un forte
disagio a disegnare graziosi animaletti (era tra gli animatori di Red e Toby -Nemiciamici) e il suo
personale stile non è compreso da tutti. I pochi che lo sostengono gli
permettono comunque di muovere i suoi primi passi nell’animazione a passo uno e
nel live-action. Ma la Disney (che negli anni ’80 attraversava un periodo di
transizione e di confusione in merito alla direzione che la casa di Topolino
doveva prendere), pur riconoscendone il talento, non riusciva a trovare una collocazione idonea ai suoi lavori.
Tra queste opere, anche quel piccolo capolavoro che fu Frankenweenie.
Cortometraggio di
25 minuti, Frankenweenie (uscito nel
1984) non convinse le allora “alte sfere” della Disney che lo classificarono PG
(Parental Guidance, cioè per minori accompagnati da un adulto) e lo relegarono
in archivio in quanto non poteva (sempre secondo i fedelissimi di zio Walt)
accompagnare la riedizione prevista per quell’anno di Pinocchio.
In seguito all’ennesima
frustrazione Burton lasciò la Disney e per sua (e nostra!) fortuna, grazie proprio
agli eventi che seguirono la lavorazione di Frankenweenie,
divenne il visionario cineasta che oggi tutti conosciamo e ammiriamo.
A distanza di
quasi trent’anni il buon Tim decidere di riprendere quel particolare progetto, realizzando
forse uno dei film più personali della sua carriera.
Il giovane
Victor Frankenstein è un ragazzino solitario amante della scienza il cui unico
amico è il suo cagnolino, Sparky. Quando quest’ultimo muore in un incidente
stradale, Victor decide di riportarlo in vita grazie agli insegnamenti del
nuovo professore di scienze, il Sig. Rzykruski. Riuscito nel folle esperimento,
Victor dovrà però proteggere il suo fedele amico dalla paura e diffidenza degli
abitanti del piccolo paese.
In questo film
è racchiusa tutta l’idea di cinema di Tim Burton. La sua filosofia, le sue
passioni ma anche le sue emozioni e il suo essere uno spirito libero.
In Victor non è
difficile riconoscere un giovane Tim Burton, un ragazzino solitario amante del
cinema horror che vive nell’avan-posto hollywoodiano di Burbank dal quale
vorrebbe volare via. Victor vive infatti in una cittadina di provincia che,
seppur in bianco e nero, non è altro che la Burbank dagli inquietanti colori
pastello di Edward Mani di Forbice,
altro alter-ego burtoniano.
In Frankenweenie è espressa la forte passione
di Burton per il cinema horror, in particolare quello degli anni ‘30 e degli anni '50. Da Frankenstein (di James Whale) a Godzilla passando per La moglie di Frankenstein (sempre di
Whale), gli omaggi e rimandi a quel cinema espressionista si sprecano. Nelle
fattezze del Sig. Rzykruski poi, si possono riconoscere quelle di Vicent Price idolo
del nostro regista e protagonista del cinema horror anni ’50 (uno per tutti La maschera di cera) e ’60 (interpretò una serie di film tratti dai racconti di Edgar Alan Poe), che proprio con il
nostro regista aveva stretto un forte rapporto di amicizia e che concluse la
sua carriera nel 1993 interpretando il padre-inventore di Edward Mani di Forbice.
Ed è proprio in
Edward che io trovo con Frankenweenie i maggiori contatti.
Teneri, malinconici e gustosamente horror, queste due opere riescono a
restituire al meglio l’interiorità di questo regista non convenzionale ed
originale che ha incantato una generazione.
Profondamente
curata e raffinata l’animazione in stop-motion scelta da Burton (nel 1984 il
film fu girato in live-ction). Già sperimentata in Nightmare before Christmas e La
sposa cadavere, qui la tecnica acquista un valore aggiunto nel restituire
creature e atmosfera di un cinema ormai lontano ( un po’ lo stesso risultato
ottenuto da Martin Scorsese in Hugo Cabret con uno spettacolare 3D). Una
dichiarazione d’amore di Burton al cinema, palesata fin dalla prima sequenza di
Frankenweenie dove Victor mostra ai
suoi genitori un piccolo film (horror, ovviamente) girato da lui stesso in
super8 (ma da vedere con gli occhiali 3D!) con protagonista il suo amato
cagnolino Sparky. Anche il film del 1984 iniziava nello stesso modo, e già in quell’opera
si poteva riconoscere le caratteristiche tipiche di Burton, allora un regista
in erba di ventisei anni che tentava di esprimere il suo mondo. Un mondo che
forse solo ora è riuscito a restituire al meglio, dando libero sfogo alle sue
passioni senza preoccuparsi di assomigliare a qualcuno o di ripetere sé stesso.
Una libertà che allora non gli era ancora permessa.
Da quel 1984 di
acqua ne è passata sotto i ponti e con la Disney è ormai pace fatta. Frankenweenie ( nomination all’ Oscar 2013 per il miglior film d’animazione)
è distribuito proprio dagli studios del magico castello, la Walt Disney Pictures
( già co-produttrice nel 2010 di Alice in Wonderland ).
Da questo
eterno scontro-incontro tra due mondi apparentemente lontani non c’è che da
aspettarsi (incrociamo le dita!) altre meraviglie.
Guarda il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=oZ_7ibdX43s
Per chi fosse interessato, ecco il corto del 1984 : http://www.youtube.com/watch?v=HWRB-VqKPJs