"Siamo legati ai film come ai nostri migliori sogni". Leo Longanesi

giovedì 29 marzo 2012

JOHN CARTER (di A. Stanton, 2012)


Ci sono film che rimangono chiusi in un cassetto per anni. Diritti e script passano di mano in mano fino a ritornare di nuovo in quel polveroso cassetto. Ma ecco che, come in un classico romanzo d'avventura, il cassetto-scrigno viene riaperto e l'idea-tesoro ritrovata.
E' dal 1931 che si tentava di portare sul grande schermo John Carter. Ma solo ora le moderne tecnologie hanno permesso di restituire il mondo fantascientifico creato nel 1912 (cent'anni fa!) da Edgar Rice Burroughs. Divenuto celebre soprattutto per essere il “papà” di Tarzan, Burroughs è noto anche per aver dato alle stampe il primo romanzo del cosiddetto “Ciclo di Marte”. Protagonista dei volumi (ben 11) è il capitano John Carter, veterano della guerra di secessione, trasportato improvvisamente sul pianeta Marte (anzi, Barsoom, come lo chiamano i suoi abitanti) dove diverrà il leader di una guerra tra razze, proprio lui che sulla Terra era uscito dal conflitto americano distrutto e scoraggiato. Ma su Barsoom troverà una nuova forza (la mancanza di gravità gli permette di fare dei salti altissimi), una nuova causa (giusta!) per cui combattere, e anche un nuovo amore (la moglie e la figlia erano morte durante la sua lontananza al fronte): la bella Deja Thoris, principessa dalle sembianze umane, coraggiosa scienziata e guerriera.
Sconosciuto ai più, fuori dai confini americani ( il soldato della Virginia non ha niente a che fare con il fascinoso dottore di E.R.!), John Carter è stato fonte di ispirazione per quasi tutte le saghe più amate della storia del cinema. Da Indiana Jones a Star Wars (le creature marziane non possono non ricordare quelle “intergalattiche” incontrate da Luke Skywalker), da Superman ad Avatar passando per Stargate. E nel film della Disney c'é davvero di tutto : corse a cavallo in perfetto stile western; battaglie super-tecnologiche degne dei grandi blockbuster; e per finire una lotta all'ultimo sangue nella grande Arena alla Russel Crowe ne “Il Gladiatore”. Ma se tutto ha il sapore del “già visto”, vi dovrete ricredere. La capacità di Andrew Stanton ( Alla ricerca di Nemo, Wall-E), secondo regista della scuderia Pixar passato dall'animazione al “live action” ( l'altro è Brad Bird che ha diretto l'ultimo capitolo di Mission Impossible: M.I. Protocollo Fantasma), è stata quella di riuscire a coniugare questi diversi stili restituendoci una pellicola piacevole, non noiosa e ricca di divertenti effetti speciali. Certo, abituati alle splendide sceneggiature Pixar, John Carter risulta di un livello inferiore. Nonostante però non possieda una storia forte, il film scorre lineare, senza grossi colpi di scena ma neanche con prevedibili banalità. La pellicola riesce a catturare l'attenzione del pubblico senza farlo troppo sobbalzare sulla sedia. Ideale quindi per il pubblico di ogni età in pieno stile Disney.
Da elogiare invece l'uso sapiente degli effetti speciali, in particolare della ormai onnipresente “motion capture”. Se le creature “animalesche” sono quasi totalmente digitali, gli altissimi marziani dotati di quattro mani nascondono l'anima di attori del calibro di Willem Deafoe. Nei panni di Tars Tarkas, Defoe è rimasto entusiasta dell'esperienza “mo-cap” che, seppur ne nasconde l'identità, gli ha permesso di riconoscersi negli occhi e nelle espressioni dell' ”alieno verde”.
Buona la prova dei protagonisti, gli semisconosciuti Taylor Kitsch (John Carter) e Lily Collins (Deja Thoris), già visti entrambi in Wolverine con Hugh Jackman.
Se questo è il primo capitolo di una futura saga fantasy, è presto per dirlo (pare che negli Stati Uniti non abbia ottenuto gli incassi sperati). Ma personalmente ritengo che nella grande ondata di eroi Marvel e Dc che prossimamente ci investirà (dal reboot di Spiderman, al terzo capitolo del Batman di Nolan, senza scordare il ritorno di Superman e la colorata accozzaglia degli Avengers), John Carter mi sembra un discreto diversivo.


martedì 27 marzo 2012

PARADISO AMARO ( A. Payne, 2012)


Lo ammetto: non conosco i film di Alexander Payne (Election, Sideways e A proposito di Schmidt). Ma dopo aver visto questo gioiello, li recupererò tutti!
Hawaii. Un paradiso per chiunque lo nomini. Un altro spazio dove fuggire dalla propria realtà. Dove vivere senza alcuna responsabilità, sempre in calzoncini corti e infradito, lasciandosi coccolare dalle onde, dal sole e dal vento. Un sogno. Ma come tutti i sogni, non sempre trovano corrispondenza nella realtà. Perché la realtà vera, quella dura, esiste anche alle Hawaii. Lo sa bene Matt King. Discendente di una ricca famiglia proprietaria di terreni alle Hawaii, Matt è dedito al suo lavoro di avvocato, nonostante la cospicua eredità che divide con alcuni cugini. In prossimità della vendita dell'ultimo pezzo di terra in suo possesso, la moglie Elizabeth ha un incidente con il motoscafo che la riduce in coma irreversibile. Non abituato al ruolo di padre, Matt si trova in difficoltà con le figlie Alexandra e Scottie, da lui trascurate per troppo tempo. A causa del dolore per la moglie, le sue certezze crollano ed egli tenta disperatamente di ritrovare un equilibrio. A cinquant'anni è costretto a crescere, ad affrontare le proprie responsabilità. E se tutto questo non fosse già abbastanza duro, la primogenita Alexandra gli rivela che la madre lo tradiva con un altro uomo. La ricerca dell'identità di costui permetterà a Matt di trovare un nuovo equilibrio e il legame con le figlie ne uscirà rafforzato.
Tratto dal romanzo della scrittrice Kaui Hart Hemmings, Eredi di un mondo sbagliato (da cui il titolo originale del film The Discendants), Paradiso Amaro è un'opera che entra nel cuore e con il quale il pubblico può identificarsi a più livelli. Come non riconoscersi nelle difficoltà, nel disagio e nella “goffaggine” di Matt. Il modo in cui il regista premio Oscar tratta la tragedia vissuta da un uomo “medio” impreparato ad affrontare la realtà, è davvero sublime. Ci si commuove, ma anche si ride per quegli episodi grotteschi che a tutti possono capitare nei momenti più tragici. Payne sa restituire al meglio le varie fasi del dolore vissute da una famiglia prossima alla perdita di una persona cara. La disperazione che diventa indifferenza; la rabbia che si trasforma in rassegnazione. Il tutto velato da una leggera ( ma anche cinica) ironia, “marchio di fabbrica” di questo cinquantenne regista venuto dal Nebraska.
Impeccabile l'interpretazione di George Clooney nei panni di Matt. Il viso stropicciato, i capelli arruffati e quella buffa corsa in ciabatte valgono da soli il prezzo del biglietto. Lasciati i panni dello sciupa-femmine, Clooney sa essere credibile in quelli di un padre messo a dura prova dalle figlie e con scarso sex-appeal. Un Oscar forse se lo sarebbe meritato.
Giustamente assegnato invece il premio per la miglior sceneggiatura non originale ( già conquistato da Payne nel 2005 per Sideways-In viaggio con Jack). Quando la storia e i dialoghi sono forti, il film non può passare inosservato.




venerdì 9 marzo 2012

THE HELP ( di T. Taylor, 2012)


Un film bello, schietto e ben interpretato come non se ne vedevano da tempo. Un'opera che ha alla base un storia forte, ben raccontata, dove protagonista è la potenza della parola, la forza di un'opinione proveniente da un punto di vista “diverso”.
Dopo avere fatto incetta di premi in giro per il mondo, The Help non ha purtroppo conquistato l'Oscar per miglio film, andato al nostalgico e muto The Artist. Alla parola, forse a volte scorretta ma sincera, si è preferito un “patinato” silenzio. Misteri dell' Academy.
1963. Jackson, Mississippi. Quasi tutte le famiglie “bene” del profondo Sud hanno alle loro dipendenze una governante di colore. Costrette a trascurare i propri figli, le “Mamies” crescono i bambini bianchi circondandoli di quell'amore che, in chi li ha generati, latita. Considerate delle “proprietà”, le cameriere nere subiscono il razzismo ipocrita delle loro padrone, “casalinghe (si fa per dire!) disperate” impegnate in raccolte fondi e aste di beneficenza in favore proprio di chi umiliano quotidianamente. Ma c'è chi non ci sta. Fresca di laurea, l'aspirante giornalista Skeeter (Emma Stone) decide, con un libro, di dare voce proprio a quel mondo sottomesso e silenzioso delle cameriere nere. Dopo le prime reticenze, Aibileen (Viola Devis) e Minnie (Octavia Spencer), due coraggiose governanti, decidono di raccontare le loro storie.
Un film sul coraggio delle donne, scritto da una donna ( Kathryn Stockett, autrice del romanzo best-seller da cui è tratto il film) e fatto dalle donne. Come meglio festeggiare l'8 marzo se non con un'opera che ci ricorda quanto una donna, con piccole azioni quotidiane, possa fare la differenza. Fu una donna colei che nel 1955 si rifiutò di cedere il posto sull'autobus ad un bianco dando così il via al movimento per i diritti civili, mentre Martin Luther King sognava l'uguaglianza. E sarà il coraggio di una cameriera “negra” che, in The Help porterà alla luce il marcio che si nasconde dietro il perbenismo americano, mentre Kennedy perde la vita a Dallas.
Forte nella storia ma anche nelle interpretazioni. Il cast di The Help è davvero di prim'ordine. A partire da Viola Devis ( Il dubbio) intensa interprete di Aibileen, la cameriera devota, lacerata nell'anima per la perdita del figlio ma così coraggiosa da essere la prima ad aprirsi con Skeeter. Octavia Spencer, che ha ottenuto il premio come miglior attrice non protagonista, da vita all' “impertinente” Minnie, regalando un' interpretazione vigorosa e anche spassosa. Sempre più brava la giovane Emma Stone (The Rocker. Il batterista nudo e Crazy, stupid, love) nei panni di Skeeter, la ribelle. Non ultima, una sorprendente Jessica Chastain, (The Tree of life) anima di Miss Foote l'unica "Lady"  a provare sulla propria pelle le sofferenze dell'emarginazione inflittale dalle sue “ colleghe” per-beniste.
Peccato solo per Bryce Dallas Howard ( The Village, Hereafter). La figlia del celebre Ron, nonostante dimostri capacità attoriali forti tali da permetterle di calarsi nei panni di personaggi molto diversi, qui subisce un po' i limiti del suo personaggio: una donna isterica e malvagia che rasenta il limite dello stereotipo.
Ben girato dal regista e attore Tate Taylor (originario proprio di Jackson), il film vi farà riflettere ma soprattutto vi regalerà risate e lacrime. Perché le storie che arrivano al cuore, che hanno “molto da dire” ( come il coraggio della voce di Skeeter), sono così. Ve lo consiglio caldamente.

domenica 4 marzo 2012

IL GATTO CON GLI STIVALI ( di C. Miller, 2011)


Vista la scelta dell'immagine legata al mio profilo, non potevo non occuparmi del film targato Dreamworks dedicato a questo simpatico micione.
Personaggio apparso quasi per caso nel secondo capitolo della saga di Shrek, ci ha subito conquistato con i suoi grandi occhioni languidi, rubando la scena all'irriverente orco verde, specialmente negli ultimi episodi. Se infatti i primi due capitoli dell' “orchesca” quadrilogia possono contare sulla grande originalità dei loro sceneggiatori, “Shrek terzo” e “Shrek e vissero felici e contenti” rivelano purtroppo una forte stanchezza. La comparsa dell' ispanico felino ( irresistibile soprattutto nel quarto episodio in versione “cicciotto” micio di casa) risolleva un po' lo spettatore da una narrazione che non brilla più come agli inizi per acume e divertimento. Il successo de “El Gato” è tale che la Dreamworks non poteva lasciarsi scappare l'occasione di realizzare un film tutto su di lui.
Grazie a questo spin-off, scopriamo così come nacque la leggenda del micio dal fulvo pelo, fuorilegge, ma paladino di giustizia, a metà strada tra Zorro e D'Artagnan. Cresciuto orfano nel piccolo villaggio di San Ricardo, Gatto (Puss in originale), tenerissimo in versione baby, stringe una forte amicizia con l'uovo antropomorfo Humpty Alexander Dumpty. Ossessionato dalla ricerca dei fagioli magici che conducono all'oca dalle uova d'oro, Humpty formerà con il nostro micio il “Bean Club” (anche qui, come in Shrek, le citazioni cinefile si sprecano!) con l'unico scopo di trovare i mitici fagioli. Per anni non sogneranno altro, ma le loro strade sono destinate a dividersi. Humpty non disdegna azioni illecite e Gatto, diventato ormai un eroe che combatte a fianco delle legge, non può tollerare il comportamento dell'antipatico uovo. Dopo sette anni di lontananza, il film inizia con il loro re-incontro e con la decisione di Gatto di dare una seconda chance all'ambiguo uovo. Con l'aiuto di Kitty Zampe di Velluto, una micia scaltra e sexy, la ricerca dei fagioli magici riprende alla grande.
Racconto d'avventura, favola irriverente, doppi sensi e cast internazionale. Questi gli ingredienti che rendono“Il Gatto con gli Stivali” un film gradevole e divertente nonostante un protagonista che a tratti si fa fatica a riconoscere. Che fino a fatto il gatto che vinceva i nemici intenerendoli con i suoi occhioni e che tanto ci ricordava i nostri mici di casa? I punti di forza del personaggio visto in Shrek sono in questo film appena accennati ( ma ben presenti nel trailer!), preferendo un eroe meno “micio” ma più “macho”, atletico e latin-lover. Si ride meno, lasciando tutta la comicità all'accento “espaňol” di Antonio Banderas. Voce originale de “el Gato”, Banderas, a partire “Shrek terzo”, presta la voce al suo alter-ego felino anche in italiano e in spagnolo, dandogli così una simpatica parlata. Il film si regge tutto sull'interpretazione del bel Antonio che, in questa occasione, è affiancato, per la versione originale, dalla simpatia (in questo caso, antipatia) di Zach Galifianakis ( Humpty) e dalla sensualità di Salma Hayek ( Kitty).
Interessante la prima parte dell'opera, dove si fa il verso ai grandi film western e dove l'azione è preponderante. Dopo una lunga pausa dove si ripercorre la storia del piccolo Gatto, l'azione torna nell'ultimo atto della storia in maniera più tradizionale. Godibili e ben fatte le scene dove il “ caliente” felino si lancia in sensuali “duelli” di danza. Qui Banderas si vede tutto!
Che si tratti del primo capitolo di una saga tutta su “el Gato”? Forse, ma per farci dimenticare l'orco verde che stravolse il mondo delle favole, dovrà tirare fuori gli artigli. Anzi, gli occhioni!




sabato 3 marzo 2012

THE ARTIST ( di M. Hazanavicius, 2012)


Che nel 2012, in piena epoca 3D e motion capture, il premio Oscar per “The Best Picture” venga assegnato ad un film muto e in bianco nero è di per sé straordinario. Ma che per sedurre l' Academy basti una banale storia di caduta e rinascita, un balletto alla Fred Astaire e un simpatico cagnolino lascia ancora più stupiti. Perché in fondo The Artist è tutto qui.
1927.George Valentin è un divo del cinema muto. Il suo strepitoso successo sembra non avere fine. Ma l'avvento del sonoro cambierà tutto. Determinato a non piegarsi alle regole del mercato, Valentin sarà presto un attore disoccupato e dimenticato. Ormai nei cuori degli spettatori c'è posto solo per Peppy Miller, stella emergente, lanciata nel mondo del cinema proprio da Valentin, e che in più di lui ha il dono della parola.
La sfida era davvero ardua. Tentare di catturare oggi l'attenzione dello spettatore con un film “non sonoro”, non era certo facile. La scommessa a mio parere è stata vinta a metà.
Si rimane scettici di fronte alla vittoria di Jean Dujardin, interprete del protagonista e vincitore dell' Oscar per il miglior attore. Pressoché sconosciuto ai più, Dujardin è una star comica in Francia. Grazie alla sua vittoria, egli risulta essere il secondo (dopo il nostro Roberto Benigni) attore non anglofono ad aver ottenuto l'ambita statuetta.
Nonostante le sue buone doti attoriali e quelle degli altri interpreti ( da segnalare anche due veterani come James Cromwell e John Goodman), i personaggi non riescono a bucare lo schermo. Rimangono lontani, nascosti dietro ai loro sorrisi patinati, legati ad una dimensione cinematografica troppo remota (o forse troppo irreale). Neppure la tragedia del grande divo dimenticato ci tocca davvero il cuore. L'uso poco invasivo dei cartelli con i dialoghi (cosa che ho apprezzato molto) presupponeva un'assenza totale di voci e rumori a favore della potenza delle immagini. A parlare dovevano essere solo i volti, gli occhi, i gesti. Ma quella barriera fatta di silenzi  (privi spesso di contenuto), non ha permesso la magia.
La noia poi che inevitabilmente colpisce lo spettatore moderno, non aiuta una pellicola che, quasi a sorpresa, colpisce comunque con alcuni momenti geniali. L'inserimento improvviso del sonoro (durante il breve incubo del protagonista), così disturbante per Valentin, perseguitato da quel nuovo mezzo che non intende in nessun modo assecondare, convince per un attimo lo spettatore di essere di fronte a qualcosa di diverso. Ma l'illusione dura poco. Nell'ultima parte infatti il film si rivela ancora per la sua banalità, seppure sognante e poetica . Molto romantica infatti  la scena in cui la Peppy (la bellissima attrice francese Bérénice Bejo, moglie de regista) entra nel camerino di Valentin e con la sua giacca finge un dolce (ma sensuale!) abbraccio.
Insomma, c'erano davvero le premesse per un film che avrebbe potuto lasciarci letteralmente “senza parole” illuminando il panorama cinematografico odierno con la forza delle sole immagini, ma così non è stato. Apprezzabile comunque il tentativo.
Menzione speciale però per al cagnolino Uggie che, con tanto di papillon, ha presenziato alla cerimonia degli Oscar (più noiosa che mai!) riuscendo a strapparci un sorriso tra uno sbadiglio e l'altro.

Guarda il trailerhttp://www.youtube.com/watch?v=qhAKfLDXwtM




Oscar's News: I Vincitori

THE ARTIST
Miglior Film, Miglior Regia (Michel Hazanavicius), Miglior attore protagonista (Jean Dujardin), Miglior Colonna Sonora, Migliori Costumi

HUGO CABRET
Migliore Fotografia, Migliori Effetti Speciali, Miglior Scenografia (Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo), Miglior sonoro, Miglior montaggio sonoro.

MIDNIGHT IN PARIS
Miglior sceneggiatura originale (Woody Allen)

PARADISO AMARO
Miglior sceneggiatura non originale (Alexander Payne)

THE IRON LADY
Miglior attrice protagonista (Maryl Streep)

THE HELP
Miglior attrice non protagonista (Octavia Spencer)

BEGINNERS
Miglior attore non protagonista (Christopher Plummer)

RANGO
Miglior Film d'Animazione

I MUPPET
Miglior Canzone