"Siamo legati ai film come ai nostri migliori sogni". Leo Longanesi

mercoledì 21 novembre 2012

ARGO (di B. Affleck, 2012)



Ben Affleck l’attore. Ben Affleck il regista.
Dopo una carriera attoriale non particolarmente brillante ( e dopo-badate bene- un Oscar ottenuto a soli 26 anni per la sceneggiatura di Will Hunting-Genio ribelle, assieme all’amico Matt Damon), il bel ragazzone californiano si cimenta nella regia con una tale solidità e disinvoltura da eguagliare quasi il mestiere di un grande vecchio come Clint Eastwood,  macchina inarrestabile di capolavori.
Dopo Gone baby Gone e  The Town  Affleck ci propone una reale pagina di storia celata (verrà resa nota solo nel 1997) dai contorni così bizzarri da poter solo essere vera.
4 Novembre 1979, Teheran. Durante la rivoluzione islamica, alcuni militanti fanno irruzione nell’ambasciata americana prendendo in ostaggio 52 funzionari. Solo sei di loro riescono a sfuggire al sequestro  rifugiandosi nella residenza dell’Ambasciatore canadese. Ma è solo questione di tempo perché i ribelli si accorgano della loro fuga. Occorre riportarli a casa prima che accada l’irreparabile. L’allora agente della CIA Tony Mendez, esperto delle cosiddette “esfiltrazioni” ha un’idea folle: realizzare un falso film e far passare i sei come una troupe cinematografica d’istanza in Iran alla ricerca di una location esotica per la loro pellicola di fantascienza. Il titolo del falso film è Argo. E per essere credibile ha bisogno di un vero/falso copione, un vero/falso truccatore e un vero/falso produttore.
L’opera è un continuo gioco a incastro tra realtà e finzione. La pellicola si apre con un voice-over che ci descrive il contesto storico, accompagnato da una serie di disegni tipici di uno storyboard (elemento importante anche per la soluzione della vicenda). La scena dell’assedio all’ambasciata è realizzata con un continuo alternarsi di riprese cinematografiche e vere immagini di repertorio. Nella sequenza in cui viene letto il falso copione in sede di conferenza stampa, una donna iraniana legge in televisione le condizioni dei sequestratori. La telecamera che riprende il cast durante la lettura ha la stessa valenza dell’arma usata dagli iraniani per le finte esecuzioni.
Per Affleck la distinzione tra realtà e finzione è fondamentale; e lo spettatore ne deve essere ben conscio.
Alla tragedia vera degli americani, si alterna continuamente il mondo fittizio di Hollywood che convince la stampa sulla realizzazione di Argo. Questo filone parallelo ha come protagonisti il truccatore John Chambers  (John Goodman) e il produttore Lester Siegel (Alan Arkin). Persone reali (il vero Chambers vinse l’Oscar per Il Pianeta delle Scimmie) in un mondo di finzione che sanno (senza mezze misure) prendere in giro. Le loro battute ironiche e pungenti sul “pianeta Hollywood”(specie quelle di Arkin) sono da antologia.
Ma mentre da un lato si sorride, dall’altro si condivide ansie e timori dei sei americani. Se nella prima parte il film sembra quasi bloccato in una sorta di perenne attesa, dopo che i sei escono con la loro guida dall’ambasciata canadese, il film ha una virata improvvisa in cui si rimane letteralmente senza fiato. Lo spettatore segue passo per passo, attimo dopo attimo gli eventi che coinvolgono i protagonisti e con loro (assieme a loro!) trattiene il respiro. I tempi, la tensione,  gli innumerevoli primi piani e la colonna sonora di Alexandre Desplat (quattro volte candidato all’Oscar) sono perfetti. Tutto è ben calibrato da un giovane regista che sa davvero il fatto suo e che probabilmente ha realizzato il suo film migliore. Allo scioglimento finale dell’azione (davvero interminabile!) è impossibile trattenere la commozione.
Il collante tra i due principali filoni di questo film è il suo stesso regista. Ben Affleck si riserva infatti la parte dell’agente della CIA Tony Mendez (alla “regia” del folle piano), restituendo un’interpretazione pacata, forse un po’ troppo dimessa ( quasi a voler rimanere in secondo piano rispetto ai sei funzionari), ma fortemente malinconica , in sintonia con l’anima di un uomo che sente il peso della responsabilità. La responsabilità della vita di sei persone.
Un film che parla di storia quindi, ma anche e soprattutto di cinema e di come sia importante saper distinguere la realtà dalla finzione.
Si ride, si piange e si riflette con Argo.
Per me (quasi senza dubbio) il miglior film dell’anno.






martedì 20 novembre 2012

007 SKYFALL ( di S. Mendes, 2012)



 Il ventitreesimo film dedicato all’agente segreto più amato della storia del cinema è una gioia per occhi, per le orecchie, e ha un gusto “agitato, non mescolato” che i fan più accaniti non potranno non assaporare.
007 Skyfall è il terzo film dell’era Daniel Craig. Nel 2007 molti “puristi” storsero il naso alla vista di un James Bond biondo. Ma gli occhi di ghiaccio e il viso da schiaffi di Craig li ha subito conquistati. Casino Royale, diretto da Martin Campbell, ha dato un nuovo slancio al filone Bond svecchiando stile e personaggio da canoni ormai superati. Lo spettatore assiste alla nascita di un agente doppio zero alle prime armi, sfrontato e con le sue fragilità, pronto addirittura a mollare l’ MI6 per amore di una donna. Ma proprio il doppio gioco di lei lo farà diventare quel implacabile macchina da guerra che risponde al nome di “Bond, James Bond”, pronunciato solamente appena prima dei titoli di coda.
Da queste premesse, l’attesa per il secondo capitolo era inevitabilmente altissima. Ma Quantum of Solace di Marc Forster ha, per molti, deluso le aspettative. Ed ecco allora arrivare in soccorso il regista premio Oscar Sam Mendes (American Beauty), che prende le redini del terzo episodio e ne fa un omaggio così visivamente curato e pieno di riferimenti all’intera cinematografia che molti urlano già al miglior Bond di sempre.
Che veramente lo sia, io personalmente non me la sento di sottoscriverlo. Ma che questo film sia una grande prova di regia e di fotografia (Roger Deakins, una garanzia!) nonché un’ottima prova di intrattenimento, non ho dubbi.
I primi minuti sono spettacolari. Dopo una scena frenetica di inseguimento con tanto di salti mortali, tutto si arresta con Bond preso in pieno da una pallottola sparata dalla sua collega, Eve.
La “caduta dal cielo” di Bond, che dal ponte precipita nella cascata, è presto accompagnata dalla  voce suadente di Adele con la canzone omonima, Skyfall. Quello che segue è un esplosione di immagini e colori da togliere il fiato. Per un attimo sembra di precipitare sempre più giù con il protagonista, in un viaggio vorticoso ma pieno di piacere.
Il resto del film, girato in maniera impeccabile e sofisticata, è un omaggio al passato con il ritorno di personaggi e gadget che hanno fatto la storia di Bond. Ecco all’ora un giovane agente Q, responsabile del reparto tecnico dell’MI6, che gli consegna la celebre pistola Walther PPKS con “tocco personale”. Ecco Gareth Mallory, capo dell’ufficio rapporti con l’intelligence e  prossimo  M. Ed ecco la mitica Aston Martin BD5 grigio-metallizzata di Missione Goldfinger, riesumata per l’occasione in una storia dove si sottolinea che la vecchia maniera funziona sempre. Alla faccia di un James Bond con cellulare e PC.
Mendes ha quindi mischiato con cura elementi vecchi e nuovi senza mai far prevaricare l’uno sull’altro, omaggiando così la creatura di Ian Fleming e rimanendo fedele allo stile moderno del nuovo filone.
Per quanto riguarda il cast, impeccabili le performance di Craig (Bond), Ralph Fiennes(Gareth Mallory) e Judi Dench nei panni M, qui più (M)adre che mai. Buone anche quelle di Naomie Harris (Eve) e Ben Wishaw (Q). Ma chi stupisce davvero è Javier Bardem. Nei panni del cattivo di turno, l’ex agente dell’MI6 Raoul Silva, ci regala un personaggio ambiguo e crudele. Un dandy con tendenze omosessuali, profondi conflitti irrisolti e una grande rabbia che deve esplodere. Bardem gioca sapientemente con i diversi lati del suo personaggio senza mai scadere nella macchietta.
Il suo Silva ricorda un po’ il Joker di Heath Ledger ne Il Cavaliere Oscuro. Concordo infatti con chi ritiene che Mendes abbia fatto sua la filosofia di Nolan, in particolare sulla “caduta” e “resurrezione” dell’eroe, ampliamente esplicitata ne Il Cavaliere Oscuro-Il Ritorno. Ciò che però spinge questi uomini straordinari  a risollevarsi dopo la caduta rimane, a mio parere, differente.
A prescindere da come la pensiate sul mitico James Bond, vi consiglio di non lasciarvi scappare questa perla. Non ve ne pentirete!