"Siamo legati ai film come ai nostri migliori sogni". Leo Longanesi

sabato 21 luglio 2012

TAKE SHELTER ( di J. Nichols, 2012)


Curtis LaForche  è un uomo qualunque. La sua è una vita tranquilla, dedita al lavoro e alla famiglia. Ma la sua serenità è ben presto minata da qualcosa di terribile e misterioso. Il suo sonno è ricorrentemente disturbato da angoscianti incubi che iniziano sempre con l’arrivo di un tremendo temporale. Nella mente di Curtis si insinua il pensiero che quella “tempesta perfetta” possa davvero abbattersi sulla sua casa e mettere in pericolo la vita della moglie Samantha e della sua bimba, Hannah, affetta da sordità. Decide perciò di costruire un rifugio anti-uragano. L’ostinazione con la quale persegue la sua missione logora però i legami con amici e colleghi, ma soprattutto mette a dura prova il rapporto con la giovane moglie.
Jeff Nichols (considerato uno tra i più promettenti giovani registi) ci regala una pellicola che, fin dalla prima inquadratura, coinvolge appieno lo spettatore, risucchiandolo in un vortice di paura, tensione e mistero; emozioni che tormentano la mente del protagonista. Lo spettatore vive con lui la sua tragedia. Il terrore per quei tuoni e per quella strana pioggia scura; la paura per la propria figlia; il timore di soffrire degli stessi disturbi (la schizofrenia) della propria madre. Curtis ha infatti la consapevolezza di poter essere malato, ma l’ossessione di costruire un rifugio per la propria famiglia è più forte di qualsiasi dubbio (“Lo devo fare”, dice sicuro alla moglie). E proprio il dubbio tra malattia e premonizione pervaderà tutto il film. Fino all’enigmatico finale, dove però si asserisce una verità importante: quella che spesso il vero rifugio, il vero riparo dai pericoli del mondo, si trova solo in chi si ama. Solo una moglie, una figlia, oppure un amico possono comprendere i tuoi timori  e condividerli con te. Percepirli, vederli, viverli allo stesso modo, e non farti più sentire solo.
Scritto dallo stesso Nichols, Take Shelter è un piccolo gioiello di tecnica e capacità recitativa.
La fotografia di Adam Stone è perfetta. Essa rende la profonda provincia americana (siamo in una piccola cittadina dell’Ohio) ancora più vasta e sconfinata, a sottolineare quanto l’uomo (in questo caso Curtis) sia piccolo e impotente di fronte alla forza della natura.
C’è l’ 11 settembre  nella diffidenza di Curtis verso il suo prossimo; e c’è l’uragano Katrina in quel cielo minaccioso. Le più intime paure dell’americano medio (e dell’Occidente) tutte racchiuse nel corpo sì imponente, ma schiacciato e lacerato, di Michael Shannon. L’attore statunitense ( davvero in grande spolvero) ci restituisce una straordinaria interpretazione , facendo di Curtis una maschera tragica dei nostri tempi. Ad affiancare Shannon, una brava Jessica Chastain (già vista quest’anno in The Help), nei panni della moglie-coraggio che resta accanto al marito. Splendida anche la caratterista Kathy Baker (Edward mani di forbice, Il Club di Jane Austen), interprete della madre schizofrenica. Poche immagini e parole le sue, ma che rimangono impresse.
Lo stesso si può dire del film. Immagini ripetitive ma mai banali e dotate di senso; pochi dialoghi ma profondi, essenziali, sottolineati da una musica stridente ma mai completamente disturbante. Effetti speciali minimi ma che ti fanno davvero sentire dentro il film ( altro che 3D!). Assieme a Curtis infatti, sembra di sentirlo quel vento forte sulla faccia, o quelle strane gocce di pioggia sulla sua mano.
Un film raro.




22 Luglio 2012: Recensione pubblicata anche sul sito www.binarioloco.it

giovedì 19 luglio 2012

BIANCANEVE E IL CACCIATORE ( di R. Sanders, 2012)


Labbra rosso sangue, chioma di nero folgore, cara,cara Biancaneve dammi il tuo cuore”.
Sarà per le formule magiche in rima… oppure per le tinte pastello alternate al  grigio tetro tipico del genere dark… ma mentre guardavo questo film mi tornavano spesso alla mente le immagini acquerello di quel primo film della Disney datato 1937:”Biancaneve e i sette anni”.
Sembrerà strano ma il primo lungometraggio di Rupert Sanders ha più tratti in comune con quel rivoluzionario cartoon che non con il recentissimo “Biancaneve” di Tarsem Singh, uscito appena il 4 aprile 2012. Perché? Perché in entrambi i Grimm sono ben presenti.
La più famosa e amata fiaba, nata dalla penna dei Fratelli di Hanau,  trova un ennesimo adattamento  in cui si cerca di coniugare la fiaba originale con quella “cartooniana” che tutti conosciamo. E’ risaputo che i Grimm non disdegnavano particolari macabri nelle loro fiabe, ripulite poi nelle versioni anglosassoni dell’800 ma soprattutto dal “purismo” Disney. Ma lo stesso zio Walt, con il film del 1937, era consapevole sia dell’importanza del lieto fine sia che le fiabe per bambini devono fare paura. Ecco allora una Strega brutta ed inquietante (il male deve sempre essere ripugnante) e un fitto bosco tenebroso per Biancaneve. E la fanciulla che corre atterrita nella foresta oscura del film di Sanders mi ha proprio ricordato la stessa sequenza del film Disney. Visivamente di grande effetto entrambe.
Di fiabesco e disneyano c’è poi il classico bacio che risveglia la “bella”, avvelenata dalla mela. Ma al classico Principe Azzurro ( che pure c’è) si preferisce modernizzare  la storia (questo, di fondo, l’intento del film)  con un cacciatore vedovo e dedito all’alcool che farà di Biancaneve una valorosa guerriera. Anche la Principessa dalla pelle bianca, le labbra rosse e i capelli colore dell’ebano, (che viene presentata come una novella Giovanna D’Arco profondamente spirituale e pronta alla battaglia) nasconde in realtà una moderna teenager,  con tanto di pantaloni attillati sotto l’ampia gonna.
Respiriamo ancora i Grimm nei paesaggi oscuri, nel Troll che aggredisce il cacciatore, nei corvacci neri, “struttura intima” della perfida Regina Ravenna (in originale Raven, cioè “corvo”), matrigna di Biancaneve, pronta a tutto per distruggere colei che può sottrarle lo scettro di più bella del reame. Come nelle fiaba dei teutonici fratelli, ella mantiene la sua bellezza privando della giovinezza le fanciulle in fiore del suo regno. E brama il cuore puro di Biancaneve; della “prescelta”, dell’unica in grado di annientarla per sempre.
Disney invece ritorna palesemente  nel mondo sotterraneo dei nani (qui otto!) pieno di fate e teneri animaletti, pronti ad inchinarsi davanti alla loro Principessa.
L’atmosfera delle scene qui ambientate però sembra quasi estranea al film, a evidenziare l’indecisione del regista tra fiaba tradizionale e dark fantasy. Gli elementi fin qui descritti infatti non sembrano mai trovare un punto d’incontro. L’opera non riesce a mantenere un filo coerente e persino il racconto non ha il coraggio di approfondire i caratteri e i legami dei propri personaggi. Il rapporto tra Biancaneve e il Cacciatore rimane in sospeso, a suggerire un triangolo amoroso al quale si aggiunge William, il “presunto” Principe Azzurro. E anche il profondo legame (“Ho visto ciò che vede”, asserisce la Principessa) che unisce  Biancaneve a Ravenna rimane in superfice, chiudendosi poi frettolosamente nel prevedibile finale.
Va comunque dato il merito a  Sanders di aver confezionato una buona pellicola di intrattenimento con notevoli effetti visivi. E inoltre, alcuni espedienti narrativi interessanti ci sono. Come le ragazze sfregiate per evitare il furto delle loro giovinezza  da parte di Ravenna; o il subdolo “travestimento” scelto dalla stessa matrigna per indurre Biancaneve a mordere la “famigerata” mela avvelenata.
Per quanto riguarda il cast, Kristen Stewart (star della saga di Twilight) è perfetta come “dark Snow White” ma la sua interpretazione, fatta soprattutto di sguardi, è piuttosto debole. La stessa cosa vale per Chris Hemsworth (il Cacciatore)  che, nonostante sia passato dal martello all’accetta, rimane un Thor dai pochi (se non nulli) sorrisi e una recitazione mono-espressiva. Peccato per i nani, tra le cui fila spiccano nomi come Bob Hoskins, Ian McShane e Nick Frost. I loro personaggi non sono stati sfruttati come meritavano.
Chi invece non delude ( e non avevo dubbi!) è Charlize Theron nei “neri” panni della regina Ravenna. Magnetica, crudele e bellissima come solo lei poteva essere. Occhi penetranti, fisico statuario e un’interpretazione piena di sfumature ma mai sopra le righe.
Infine, segnalo come il misterioso ( e lunghissimo!) piano sequenza finale possa dare adito ad un possibile sequel. Ma…e lo chiedo a voi….per la più nota delle fiabe che per tradizione inizia con un “C’era una volta…” , può esserci un “to be continued…”??



mercoledì 11 luglio 2012

THE AMAZING SPIDER-MAN (di M. Webb, 2012)


Impossibile.
Impossibile guardare questo film avendo ancora negli occhi la trilogia di Sam Raimi.  
Non è corretto fare paragoni, ma in questo caso è stato inevitabile.
A dieci anni infatti dal primo Uomo Ragno con Tobey Maguire, la Marvel tenta un reboot della saga di Spider-Man aderendo meglio al fumetto per personaggi e trama, ma senza (a mio parere) dare un vero e proprio “riavvio” alle avventure di Peter Parker e a quelle del suo alter-ego ragno.
Il film inizia bene, con Peter che tenta di scoprire il passato oscuro del padre e il motivo che lo ha spinto ad “abbandonarlo” alle amorevoli cure di zia May e zio Ben. Sul suo cammino incontrerà il Dott. Curt Connors, amico e collega del padre, dedito allo studio dei possibili innesti tra cellule umane e animali. Ed è proprio nel laboratorio del Dott. Connors che il nostro Peter si trasformerà in Spider-Man.
L’Uomo Ragno di Andrew Garfield, a differenza del precedente, si presenta subito più smaliziato, meno tormentato e con un senso di “responsabilità” che rasenta un po’ la presunzione. Non subisce i propri poteri rassegandosi al proprio destino di eroe mascherato, ma compie il suo dovere di difensore dei deboli senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. Non si nasconde (è spesso a viso scoperto) ed è sfrontato ( sia come Peter Parker che in tuta rossa e blu).
Ma l’ “amazing” del titolo è sicuramente eccessivo. Chi si aspettava un reboot alla Batman di Nolan, rimarrà deluso.
Il film non cattura abbastanza l’attenzione (troppo lungo e riflessivo il prologo; troppo veloce forse la parte riguardante la genesi dell’eroe), pur avendo tutti gli ingredienti richiesti dal genere ( e ben presenti anche nei film di Raimi): una ragazza da conquistare (Gwen Stacy al posto di Mary Jane), un nemico (la lucertola) con delirio di onnipotenza, e una “missione” che parte da un profondo desiderio di vendetta ( la morte, per mano assassina, dello zio Ben). La parte visiva è meno spettacolare (il che non nuoce), seppur ben realizzata.
Inoltre, dal punto di vista del racconto, poco si conclude in questo che risulta essere il primo capitolo di un’ennesima trilogia. Molte porte (anzi, portoni!) sono state lasciate aperte in modo da avere materiale per almeno altri due capitoli. Lo spettatore rimane quindi un po’ insoddisfatto, ma è giusto comunque essere fiduciosi per il seguito. Nulla vieta infatti di pensare che il prossimo episodio possa essere migliore. Le basi ci sono ( un oscuro passato ancora da scoprire, uno zio da vendicare e uno Spider-Man più carismatico); e il cast è di prim’ordine. A partire da Andrew Garfield , che si è sudato il ruolo del protagonista dopo sei ore di provino (direi meritato, no?); a Emma Stone, una dolce e sicura di sé Gwen Stacy. Menzione speciale a Rhys Ifans nei panni di Curt-Lucertola-Connors, senza dimenticare i ruoli più marginali di Sally Field (zia May) e Martin Sheen (zio Ben).
In conclusione , a chi dichiarava che con questo film “hanno ucciso l’Uomo Ragno”, dico che forse sì, Spider-Man non è proprio in piena forma (qualche ammaccatura c’è), ma può farcela.
Si attendono quindi miglioramenti. Per ora la prognosi rimane riservata.  ;)