Un gigante, uno strano essere
dalle fattezze umane, beve un vischioso liquido nero. Subito dopo il suo corpo precipita senza vita in una cascata,
disintegrandosi nel fiume. Tra ciò che si disperde nell’acqua, qualcosa ha una
forma elicoidale. Proprio come il nostro DNA.
Questo il misterioso inizio di Prometheus, l’ultimo film di Ridley
Scott che, a trenta-tre anni da quel capolavoro che fu Alien, riprende in mano il filone horror-fantascientifico che egli
stesso ha contribuito a fondare. Ma quello che si presenta come il
prequel/spin-off del terrificante alieno nero, dallo stesso si allontana. Perché
la perfetta congiunzione astrale che nel 1979 permise la magia, non si è
ripetuta.
2089. Gli archeologi Elizabeth Shaw (Noomi Rapace) e Charlie
Holloway (Logan Marshall-Green) scoprono in una grotta della Scozia una pittura
rappresentante una mappa stellare. Avendo riscontrato lo stesso disegno in
altre civiltà di differenti epoche, i due scienziati interpretano la mappa come
un invito dei nostri creatori (gli “Ingegneri”) a raggiungerli. Tre anni dopo
sono a bordo della nave spaziale Prometheus, diretti proprio verso la luna indicata
degli Ingegneri. L’astronave ha un equipaggio di diciassette persone tra cui la
guida della spedizione Meredith Vickers (Charlize Theron), l’androide David (Michael Fassbender) e il
capitano Janek (Idris Elba). Lo scopo primario di quest’uomini è dare una risposta
a quelle domande che da sempre assillano l’umanità: chi siamo, chi ci ha
creato, e perché. Ciò che troveranno su quella lontana luna capovolgerà le loro
priorità. E il loro “Prometeo”, il creatore, non sarà quello che si aspettavano.
La tematica scelta da Scott è
ambiziosa. Per tradurla sullo schermo ha voluto con sé lo sceneggiatore di quel
fenomeno televisivo che è stato Lost:
Demon Lindelof. E questo, forse, è stato il primo passo falso del regista
britannico. A suo agio con trame intricate a sfondo filosofico, Lindelof ha ,
in questo caso, confezionato una storia semplice che presenta però diversi buchi.
Ma che soprattutto, non soddisfa uno spettatore coinvolto e interessato ai diversi spunti di riflessione che la
sceneggiatura propone. La sensazione che si ha, alla fine della visione, è che
ci debba per forza essere un seguito che dia una risposta soddisfacente ai
quesiti posti. E il capitolo successivo non può essere Alien. Da esso infatti film si allontana; ma non certo per ambientazione, atmosfera,
ritmo e similitudini tra i protagonisti.
Prometheus infatti immerge senza dubbio lo spettatore nel mondo
fantascientifico e cupo di Alien. La pellicola
ricalca il film del ’79 riproponendone i ritmi, i silenzi e la tensione.
Come Ripley e i suoi compagni, anche l’equipaggio del Prometheus
viaggia addormentato nelle capsule criogeniche. Anche qui è presente un
androide dai comportamenti ambigui, che risponde agli ordini di un oscuro
burattinaio. Noomi Rapace poi, nei panni della protagonista, rasenta la mimesi
con la giunonica Sigourney Weaver. Ancora una volta è la forza del corpo
femminile ad avere le risorse per contrastare la minaccia aliena. Un corpo, in
cui convivono perfettamente forza, androginia e sensualità.
Ma è proprio sul piano dei
personaggi che Scott fa il suo secondo passo falso. Sia i protagonisti che i
comprimari mancano di una personalità ben delineata. La fede che possiede
Elizabeth e che fino alla fine non perderà mai, avrebbe meritato un maggiore
approfondimento, in concomitanza con la
sua sterilità ( capace però di generare qualcosa di mostruoso). Appena
accennati i profili degli altri personaggi. Tra loro , alcuni appaiono quasi inutili alla fine della trama,
come quello di Charlize Theron: perfetta nei panni della glaciale guida, ma non
così indispensabile al racconto.
Chi invece non delude e rappresenta
il vero cardine attorno al quale ruota la storia è l’androide David. Suoi i
dialoghi migliori (che pure ci sono!). Egli ha qualcosa in più rispetto ai suoi
compagni: la consapevolezza che la risposta alla domanda più importante possa
rivelarsi una grande delusione. David ha il volto di Michael Fassbender che gli regala il giusto
mix di freddezza, ambiguità e stupore.
In conclusione, proprio per le
varie similitudini con il primo Alien,
ritengo che Prometheus sia da
considerare più un omaggio che un vero prequel. I fan più puri della creatura
probabilmente rimarranno delusi, ma non potranno negare la forza visiva ( anche
in 2D!) del film. Stile di regia e fotografia sono impeccabili. Sequenze che
rimangono impresse, come quella in cui David è immerso in un enorme ologramma
raffigurante una mappa stellare in cui la Terra è cerchiata.
Un film senz’altro epico, che di Alien ha il sapore. Ma non la magia.
Guarda il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=to5TMWh73xE