New Orleans, 2008. Mentre Obama e McCain,
in piena campagna presidenziale, dibattono sulla crisi economica in atto, due
scapestrati delinquentelli rapinano alcuni malavitosi durante una partita a
poker. L’idea del mandante ( sopranominato “Lo Scoiattolo”) e quella di far
ricadere la colpa sul gestore della bisca Markie Trattman, già sospettato di
avere “ripulito” una precedente partita. Per recuperare il malloppo e punire i
responsabili la mafia assolda Jackie Cogan, sicario cinico e spietato, con un
suo “codice” molto personale.
Il succo del racconto si può
riassumere in poche parole: la crisi economica colpisce anche la criminalità
organizzata. E dal momento che in America anche un criminale è "solo", la ricerca
del denaro giustifica ogni azione. Anche quella più ignobile.
Questo concetto è espresso nel monologo
finale (che include anche un’invettiva a Thomas Jefferson) di Brad Pitt,
perfetto nei ruvidi panni del misterioso killer professionista.
Era dai tempi di Fight Club che Pitt non pronunciava frasi
dal sapore “cult” ( Bastardi senza gloria
a parte). Parole chiare e fredde, che rimangono impresse e che danno una degna
chiusura ad un film che per stile e regia ha fatto storcere il naso a più di
qualcuno.
Andrew Dominik, al suo terzo
lungometraggio, conferma la sua passione per il ralenti e per il gusto di
dilatare al massimo sequenze e dialoghi. Caratteristiche già apprezzate ne L’assassinio di Jesse James per mano del
codardo Robert Ford, film con il quale il regista neozelandese riscrisse il
genere western rendendolo più freddo e crepuscolare.
Ora con Cogan-Killing them softly, reinventa allo stesso modo il gangster movie,
adattando il romanzo Cogan’s Trade di
George V. Higgins. L’azione dagli anni ’70 viene riportata ai giorni nostri e
intersecata all’attuale situazione politico-economica. Il genere gangsteristico
con Domink si mischia al noir e ha l’atmosfera del miglior Martin Scorsese.
Freddo, brutale, che non disdegna immagini forti imbrattate di sangue e vomito
( come nel pestaggio del “povero Cristo” Markie Trattment).
Il ralenti dilata al massimo le
poche ( per non dire quasi nulle) scene d’azione rimarcandone, a mio parere, l’eccellente
fattura. Quello di Dominik è infatti ( e soprattutto) un film verboso, pieno di
monologhi e dialoghi lunghi ma non del tutto inutili. Se non, forse, per le
lunghe divagazioni di Mickey, “collega” in
crisi depressiva di Cogan.
Quella che per molti è una
pellicola noiosa, a mio parere rimane una prova di regia interessante, personale
e non banale. Pedante forse ( in quasi ogni scena una radio o un televisore
trasmette i discorsi di Obama e McCain sulla crisi economica) ma non per questo
la capacità di mantenere alta l’attenzione dello spettatore ne ha risentito.
Buona inoltre la prova degli
attori. Oltre a Pitt (già Jesse James per Dominik), ruvido e glaciale al punto
giusto, efficaci James Gandolfini e Ray Liotta nelle vesti del killer
complessato il primo (Mickey), e in quelli del mafioso (per una volta)
innocente il secondo (Trattman).
Perfettamente in parte i due
rapinatori “allo sbaraglio” Scoot McNairy (Frankie) e Ben Mendelsohn (Russell).
Ottimo infine Richard Jenkins, l’autista
senza nome che contatta Cogan per conto dei “capi”. Un personaggio di contorno,
quasi invisibile. Un uomo sobrio, dai modi garbati che però fa il lavoro “sporco”. Perché, come
tutti gli altri personaggi, è "solo".
Guarda il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=6CR_S-dV32c