"Siamo legati ai film come ai nostri migliori sogni". Leo Longanesi

lunedì 13 ottobre 2014

GRAVITY (di A. Cuarón, 2013)

Nello spazio non c'è nulla che trasporti il suono. Lassù, a circa 600 km dalla Terra, il silenzio regna sovrano. E in quella quiete, sospesi, gli astronauti Ryan Stone e Matt Kowalsky si godono un panorama unico. E' una situazione alla quale ci si potrebbe abituare, pensa la Dottoressa Stone, ingegnere biomedico in prestito alla NASA, con il compito di intervenire nella manutenzione del telescopio Hubble. Ad accompagnarla nella missione il comandante Kowalsky alla sua ultima passeggiata spaziale. All'esterno dello Shuttle, mentre stanno per ultimare il lavoro, una pioggia di detriti causata dalla collisione tra un satellite e un missile, travolge i due astronauti e danneggia gravemente lo Shuttle. L'equipaggio all'interno non sopravvive mentre Stone e Kowalsky restano soli alla deriva, senza poter nemmeno comunicare con la base di Houston. Ciò che segue sarà una disperata lotta per la sopravvivenza in uno dei luoghi più ostili che esistano.
La miglior fantascienza anni '70 incontra lo sci-fi degli anni 2000 creando un film unico nel suo genere. Il regista messicano Alfonso Cuarón mescola la filosofia di 2001 Odissea nello spazio con gli scenari spettacolari di Apollo13 realizzando una storia epica, tipicamente americana che non offre nulla di nuovo allo spettatore se non una mise en scène per nulla scontata e super efficace nel catturare l'attenzione.
Il film si apre con un lunghissimo piano sequenza della durata di ben 19 minuti. Prosegue poi con scene molto lunghe, dove il montaggio è appena percettibile. Questo permette di tenere lo spettatore totalmente incollato allo schermo. Egli non viene distratto ma interamente inglobato in un perpetuo movimento che gli consente di vivere emozioni, sensazioni e respiri della protagonista femminile, la Dottoressa Ryan Stone. Spesso sembra di essere con lei nelle tuta da astronauta.
Molto interessante anche il lavoro fatto sul sonoro. Nelle scene dove ci si aspetterebbe forti e fragorose esplosioni di suoni metallici, si viene invece colpiti da un “sonoro” silenzio, il silenzio tipico, quasi ovattato, dello spazio. Per tutta la durata della pellicola il regista gioca con il contrasto rumore/silenzio. La quiete prima piacevole si trasforma in un inquietante compagno di viaggio. I suoni terrestri (voci, musica, rumori), che prima sembravano disturbare la vista magnifica del Pianeta Blu, diventano poi fonte di conforto per chi, lassù, sta disperatamente cercando di tornare a casa.
Più efficace la prima parte delle seconda (separazione sottolineata dalla rinascita, fisica e spirituale, della protagonista - suggestiva la scena in cui Ryan, all'interno della navetta, si rannicchia in posizione fetale-) il film corre veloce verso il finale ( dura appena un'ora e mezza) inciampando però un po' nel retorico. Si esagera nell'ultima parte, inficiando la sospensione dell'incredulità dello spettatore che fino a quel momento era totalmente coinvolto nella vicenda. Il rischio era dietro l'angolo, ma è un peccato che si può perdonare.
Realizzato per l'80% in computer grafica ( quattro anni di lavorazione), il film vede un cast di appena sei elementi (di cui tre solo voce). Nei panni dei protagonisti George Clooney (il comandante Matt Kowalsky) e Sandra Bullock (Dottoressa Ryan Stone). La fisicità e il look della Bullock ricordano quelli di Ellen Ripley, protagonista della saga di Alien (quasi un must per qualsiasi regista voglia approcciarsi alla fantascienza). La tristezza dei suoi occhi (ha perso una figlia) si scontra con il chiacchiericcio spiritoso di Kowalsky, un George Clooney sempre efficace nell'alleggerire l'atmosfera, e qui forza motivatrice per la Dottoressa a non mollare.
All'ultima edizione dei premi Oscar, Gravity si è aggiudicato ben 7 statuette. Oltre alle evidenti qualità tecniche, è stata premiata la regia di Alfonso Cuarón. Al suo ottavo lungometraggio, il regista messicano ottiene quel riconoscimento che forse avrebbe meritato già con I figli degli uomini; altro sci-fi (questa volta distopico) la cui forza non era tanto nella tecnica ma bensì nella sceneggiatura, firmata dallo stesso Cuarón. Una pellicola con un ritmo ben diverso (lento e meno coinvolgente), ma che non può passare inosservata. 
Lo stesso vale per Gravity. Al contrario di quanto pensano in molti, la fantascienza al cinema non è ancora morta.





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